Ulisse e lo specchio. Il femminile e la rappresentazione di sè nella Grecia antica


Misterioso, ambiguo, affascinante per la pluralità dei suoi significati, lo specchio nell’antica Grecia rimane strumento riservato esclusivamente alle donne e rigorosamente precluso agli uomini. Soggetto sociale fortemente condizionato, la donna nell’immaginario greco si configura come alterità selvatica e artificiale della parte positiva e razionale della società costituita dall’individuo maschile. Lo stesso sguardo femminile è di per sé incompleto: è uno sguardo che la donna greca può e deve rivolgere unicamente a se stessa e al mondo circoscritto della casa e del gineceo, uno sguardo deprivato della sua funzione peculiare di comunicazione col mondo circostante. Lo specchio, strumento primo di ornamento e di bellezza, finalizzato a suscitare il desiderio erotico dell’uomo, si rivela quindi per la donna mezzo attraverso il quale controllare se stessa e l’inquietante bestialità delle proprie passioni, assoggettandosi allo sguardo soggettivo prerogativa del maschio: è strumento al contempo complice e nemico dell’“identità femminile”. Al contrario, un uomo che si specchia può essere solo un barbaro o un effemminato, un “invertito”: così è esplicitato nell’Oreste di Euripide, quando il protagonista rinuncia ad uccidere un essere “che non è nato donna, ma che non fa più parte degli uomini” alludendo a una delle guardie del corpo di Elena, schiavi asiatici “preposti a specchi e profumi”, uomini che hanno perso l’essenza stessa della loro mascolinità. Per non cadere nel pericolo della confusione fra i sessi, l’uomo greco contempla se stesso solo negli occhi di un altro uomo, ma è proprio nella parte centrale e più bella di questi occhi, la pupilla, che si scontra inevitabilmente con l’oggetto da cui sta fuggendo: la pupilla ha infatti la sagoma inquietante di un’esile giovinetta, e da questa finisce per prendere il nome, koré. Strumento di delimitazione dei due ruoli, quello femminile e passivo, da quello maschile e socialmente attivo, lo specchio diventa così nello stesso tempo riflesso dell’ambigua natura dell’identità maschile greca. Proprio su questa ambiguità e sulla difficoltà da parte dell’uomo greco di superarla, cerca di gettare luce l’ultima sezione del saggio, tramite il ricorso al mito di Narciso, che rinunciando a relazionarsi con gli altri e incapace di percepire e quindi di condividere il fascino che la sua bellezza suscitava attorno a sé, finì per annegare nella propria immagine riflessa in uno specchio d’acqua.

Dati aggiuntivi

Autore
Anno pubblicazione 1998
Recensito da
Anno recensione 1999
Comune Roma
Pagine 230
Editore