Visual Culture


Visto il crescente numero di autori, in particolare dell’ambito delle scienze sociali, che avvertono la necessità di analizzare la cultura e la funzione di relazione (in senso generale, dalle relazioni sociali a quelle conoscitive) in termini di visibilità, oggi è tranquillamente possibile parlare di “visual turn”. Di questa svolta, parte di un fervido rinnovamento epistemologico e politico in cui sono coinvolti tra l’altro, il problema del genere e del corpo, il libro curato da Jenks costituisce un esempio. Con la sua serie di quattordici saggi di argomento eterogeneo, esso presenta diversi ambiti in cui la visibilità ha costituito o costituisce il principio sovrano attraverso il quale si sono organizzati il conoscere e il pensiero sulla conoscenza. Come è noto Foucault ha individuato le origini della moderna sociologia non in Comte o Montesquieau, bensì nella condotta della pratica clinica e medica. La gestione dello spazio così come la sua ‘idea’, interne alla cultura occidentale, si costituiscono in un modo di cui la clinica psichiatrica e il rapporto medico/paziente risultano essere forme concrete ed emblematiche. Questa eredità focaultiana è alla base degli scritti di Andrew Barry e di John O’Neill (cfr. rispettivamente Reporting and Visualising e Foucault’s optics: the (in) vision of mortality and modernity). Berry adotta queste premesse per mettere in luce come i dispositivi operanti nei contesti sociali più diversi, trasformino questi ultimi in paesaggi di un “corpo collettivo” e omogeneo e creino realtà analoghe al laboratorio scientifico. O’Neill indica il processo complementare di affermazione dell’individuale e di perdita del self. Sulla linea di una sintonia con le opere d’arte che pare sedurre sempre di più i sociologi, è il saggio di Roy Boyne, Fractured subjectivity, svolto nel confronto con una metafora pittorica, l’opera di Baselitz. Così anche Ian Heywood, che sviluppa una prospettiva hegeliana, oltre ad applicare l’idea di Giddens di ‘riflexivity’ all’arte, analizzando l’astrattismo di Ryman e il concettualismo di Richter (cfr. An art of scholars: corruption, negation and particularity in paintings by Ryman and Richter). Probabilmente perché la medialità oculare mantiene nella cultura occidentale un carattere forense, molti autori parlano di ‘controllo’ e ‘sorveglianza’. Heywood e Phillipson (cfr. Menaging ‘tradition’: The plight of aesthetic practices and their analysis in a technoscientific culture) lo fanno in relazione all’esperienza estetica, ‘controllata’ mediante il discorso critico e la promessa di comprensione che la teoria pare proporre.

Dati aggiuntivi

A cura di
Anno pubblicazione 1995
Recensito da
Anno recensione 1997
Comune London & New York
Pagine 286
Editore