Il presente volume, edito da Castelvecchi, raccoglie per la prima volta i tre testi del saggista e critico letterario britannico Lytton Strachey (Londra, 1880-1932), dedicati alla figura del padre dell’Illuminismo francese, Voltaire. Le tragedie di Voltaire (1905), Voltaire e l’Inghilterra (1914), Voltaire e Federico il Grande (1915), poi raccolti nel volume Books and Characters (1922), tracciano un ritratto del patriarca di Ferney, mettendo in luce i momenti biografici che stanno all’origine di alcune delle sue opere più note. A queste ultime, tuttavia, Strachey dedica uno spazio molto marginale, dal momento che il nucleo dei suoi saggi è incentrato su un’analisi brillante e ironica della dirompente personalità di Voltaire.
Nel testo dedicato alle tragedie del filosofo, lo scopo del saggista inglese è di sottolineare la distanza che separa la propria epoca (e la nostra) dalla concezione voltairiana del gusto, una concezione fortemente conservatrice, riscontrabile, per esempio, nelle critiche a Shakespeare. Questa distanza è ancora più netta se si pensa che Voltaire era considerato dai suoi contemporanei un grande poeta e drammaturgo, e che lui stesso riteneva che come tale sarebbe passato alla storia. A tal proposito, Strachey ripercorre i punti salienti di Alzire, tragedia rappresentata con grande successo nel 1736. Secondo l’autore inglese, essa non è che «una pomposa processione di luoghi comuni» (p. 51), di cui sembra impossibile immaginare una rappresentazione piacevole. Il giudizio dell’autore appare dunque impietoso, tanto da arrivare ad affermare senza mezzi termini che «[n]ei suoi momenti migliori, Voltaire non si solleva mai al di sopra di un liceale che scrive esametri nello stile di Virgilio, e nei peggiori meriterebbe di essere fustigato» (p. 65). Se tuttavia il filosofo francese non era destinato a passare alla storia per il suo senso drammatico, è comunque giunto fino a noi grazie al suo senso del ridicolo.
È proprio quest’ultimo ad essere celebrato da Strachey nel saggio successivo, in quanto espressione di un acume che Voltaire mette al servizio di una riforma morale, civile, politica del proprio Paese. L’incontro con l’Inghilterra costituisce, in tal senso, uno spunto fecondo di produzione intellettuale. Infatti, costretto a partire dalla Francia a causa di uno scontro col cavaliere Rohan-Chabot, al quale segue un breve periodo di reclusione alla Bastiglia, Voltaire entra in contatto con l’ambiente inglese, di cui rimane entusiasta. Si tratta di una società in pieno fermento politico e culturale, che non può che acuire nel pensatore francese «l’amara consapevolezza, ancora fresca nella memoria, della medievale futilità e del limitato cinismo del suo Paese» (p. 32).
L’opera che scaturisce da questo fruttuoso incontro è rappresentata dalle Lettres philosophiques, una raccolta di riflessioni generalizzate sugli argomenti più disparati, nella forma di lettere private ad un amico. A differenza di quanto si potrebbe pensare, questo scritto non costituisce una testimonianza di viaggio, bensì «un’opera di propaganda e un’attestazione di fede» (p. 33). È proprio a partire da questo lavoro, infatti, che prende vita la strenua lotta a favore del progresso e contro l’oscurantismo, che segna l’intera esistenza dell’autore francese. Nelle Lettres philosophiques è condensata l’intera filosofia di Voltaire. Una filosofia contrassegnata dalla sua esuberante personalità, elemento centrale, quest’ultimo, all’interno del terzo saggio, dedicato da Strachey al tormentato rapporto con Federico il Grande. Nella sua figura il patriarca di Ferney vede inizialmente un’incarnazione del proprio ideale politico di assolutismo illuminato, tanto da arrivare ad appellarlo col nome di prince philosophe, salvo poi ricredersi successivamente. Il critico letterario sottolinea ancora una volta il manifestarsi, in questo contesto, dell’incontenibile verve intellettuale del filosofo, che lo induce a ridicolizzare dogmi e idee tradizionali in ambito metafisico, come quelle espresse da Maupertuis, presidente dell’Accademia delle scienze di Berlino e protetto di Federico. Questa circostanza e i dissidi che ne conseguono provocano la definitiva rottura dei rapporti tra Voltaire e il re di Prussia, che tuttavia non smetterà mai di ammirare l’ingegno del pensatore francese.
I tre scritti di Strachey ci consegnano dunque un’immagine del patriarca di Ferney che ne illumina gli svariati tratti caratteriali, dalla vanità all’esuberanza, dalla vivacità al senso del ridicolo e alla libertà intellettuale, dipingendo un uomo dal carattere difficile, nel cui pensiero, tuttavia, non possiamo non riconoscere le radici della nostra civiltà.